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Giovanni ci offre, nella sua prima lettera, due aspetti contrastanti dell’idea di peccato.
Da un lato (1, 8) afferma che siamo peccatori e che, se sosteniamo il contrario, siamo dei bugiardi.
Dall’altro lato ci dice (3, 6) che il credente non pecca.
Di più.
Nel versetto sopra citato sembra dire che le cose che aveva appena dette (che Dio è luce, che in Lui non c’è ombra alcuna, etc.) ci permettono di non peccare.
Ma aggiunge che qualcuno pecca e quindi ha bisogno dell’intercessione del “parakletos” Gesù.

Come stanno le cose? Il credente pecca o non pecca? Il fatto che Dio sia luce ci mette in condizione di non peccare? oppure pecchiamo comunque?

La spiegazione è molto semplice.
Chiunque dimora in lui non pecca (I Giovanni 3, 6), ed è ovvio che essendo noi in lui, Gesù,che è libero da ogni peccato, anche noi ne siamo liberi. Ma non perché noi siamo capaci di non peccare, bensì perché affidandoci a lui con la nostra fede otteniamo di essere continuamente ripuliti da ogni nostra colpa.
Se noi dimoriamo in lui, grazie alla nostra fede, diveniamo giusti come anch’egli è giusto.
Con argomentazione diversa, anche Paolo dice la stessa cosa (Romani 3, 24-25), e cioè che Gesù ci “rende giusti” o ci “giustifica”.
Gesù, dunque, ci viene da Giovanni presentato come avvocato (I Giovanni 2, 1) che intercede per noi presso il Padre, e come giusto (stesso versetto), cioè senza peccato e quindi con tutte le carte in regola per svolgere al meglio la sua opera di avvocato e intercessore.
Inoltre (I Giovanni 2, 2), Giovanni ce lo presenta come “sacrificio propiziatorio”, esattamente come fa Paolo in Romani 3, 25.
A dimostrazione che lo Spirito è uno e non si contraddice.